L’esdebitazione del fallito – come il soggetto fallito si libera dei debiti residui

L’istituto dell’esdebitazione, regolato dall’articolo 142 L.F., consiste nella liberazione del fallito da tutti i debiti rimasti insoddisfatti nel fallimento, e costituisce un’eccezione al principio generale, contenuto nell’articolo 120, in virtù del quale, una volta chiuso il fallimento, il soggetto fallito resta debitore verso i creditori insoddisfatti e questi riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi.
L’art 142 della Legge Fallimentare prevede che possa richiedere l’esdebitazione solo la persona fisica, quindi il titolare della ditta individuale sottoposta a fallimento, o i soci illimitatamente responsabili della società fallita. Con la recente riforma del Codice dell’impresa, che diventerà a breve operativa, potranno usufruire dei benefici dell’esdebitazione anche le società di capitali sottoposte alla procedura della liquidazione giudiziale.
La riforma in commento introduce delle novità di rilievo anche in merito alle condizioni temporali par attivare tale istituto giuridico: in particolare il novellato art. 279 stabilisce che il debitore sottoposto alla liquidazione giudiziale potrà chiedere l’esdebitazione anche a procedura concorsuale non conclusa, infatti la norma in commento prevede che il debitore possa richiedere l’esdebitazione trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura fallimentare.
Il termine è ridotto a due anni qualora il debitore abbia proposto tempestivamente istanza di composizione assistita della crisi. Attualmente invece l’esdebitazione può essere chiesta dal fallito entro un anno dalla chiusura del fallimento.
Altra novità di rilievo è la scomparsa del requisito previsto dal II comma dell’art. 142 della Legge Fallimentare ovvero la soddisfazione parziale dei creditori concorsuali, ivi compresi i chirografari; sul punto infatti il nuovo art. 280, che detta le condizioni per accedere a questo istituto, prevede quale principale requisito per l’esdebitazione la collaborazione del debitore con gli organi della procedura concorsuale, pertanto, si potrebbe accedere all’esdebitazione anche qualora talune categorie di creditori non ottengano nulla dalla liquidazione dell’attivo.
In particolar modo l’art. 280 detta i seguenti criteri per accedere al beneficio dell’esdebitazione:
1) non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato per reati di bancarotta fraudolenta, o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o comunque per delitti connessi all’attività d’impresa, salvo che per essi sia già intervenuta la riabilitazione,
2) non aver distratto l’attivo o comunque cagionato o aggravato il dissesto d’impresa o fatto ricorso abusivo al credito,
3) non aver ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura concorsuale e aver piuttosto fornito informazioni utili e documenti necessari al buon andamento della procedura,
4) non aver beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti,
5) non aver beneficiato già dell’esdebitazione per due volte.

Recentemente la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema dell’esdebitazione, con l’ordinanza n. 7550 del 27 marzo 2018, nella quale ribadisce il favor per l’imprenditore fallito.
In questa recente pronuncia degli Ermellini è possibile rintracciare il nuovo orientamento per l’istituto che è stato introdotto con la recente riforma che sarà a breve operativa e che prevede la possibilità di accedervi anche qualora talune categorie di creditori non ottengano nulla dalla liquidazione dell’attivo.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ribadisce l’importanza dell’istituto dell’esdebitazione il quale, permettendo l’estinzione dei debiti legati all’esercizio dell’attività imprenditoriale fallita, costituisce l’anticamera di una possibile ripresa di una nuova attività di impresa per l’imprenditore fallito, altrimenti pregiudicata dalla imponente pregressa esposizione debitoria.
L’istituto dell’esdebitazione, ispirato ad un indubbio favor debitoris, è espressione del mutato sentire comune, anche a livello europeo, dell’insolvenza; insolvenza non più valutata con un’accezione invalidante e negativa ma come uno dei possibili esiti dell’attività imprenditoriale.
In quest’ottica, quindi, l’esdebitazione si pone come un istituto con una valenza decisiva sia sotto il profilo della ripresa economica del singolo imprenditore sia sotto il profilo concorsuale.
Quindi ben si comprende come tale istituto persegua anche la finalità di incentivare l’imprenditore a collaborare positivamente durante la procedura di liquidazione al confidando nella cancellazione dei debiti pregressi una volta chiuso il fallimento con risvolti positivi anche per i creditori del fallito che potranno giovarsi di procedure concorsuali più celeri e capienti.
Nell’ultimissima pronuncia citata, la Suprema Corte di Cassazione si ripete nuovamente nell’affermare l’opportunità che l’esdebitazione venga concessa al debitore fallito ma collaborativo, dando maggior rilievo, ai fini della concessione del particolare beneficio, non tanto al criterio oggettivo (quindi al soddisfacimento di parte dei creditori concorsuali) quanto al criterio soggettivo che attiene alla meritevolezza del debitore fallito ad ottenere l’esdebitazione.
Annullando per la seconda volta il provvedimento adottato dalla corte d’appello sulla medesima vicenda, i giudici di legittimità ribadiscono che il controllo del tribunale fallimentare deve essere incentrato sui profili soggettivi e non su quelli meramente oggettivi, meritando l’imprenditore di accedere al beneficio previsto dalla legge fallimentare anche quando solo una parte, e neppure per intero, dei debiti concorsuali siano stati soddisfatti, purché risulti che la sua condotta sia stata improntata ad uno sforzo di diligenza per evitare o ridurre gli effetti dell’insolvenza.