Vittoria in Cassazione: L’edificabilità della fasce di rispetto stradali

Corte di Cassazione, I sezione, sentenze 10747/2020, 13203/2020, 13598/2020. L’esproprio di terreni siti in fascia di rispetto stradale.

Il contenzioso oggetto delle sentenze esaminate verteva su alcuni casi di espropriazione per pubblica utilità condotti da Autostrade per l’Italia spa nell’ambito della realizzazione dei lavori di ampliamento della Autostrada A14. I casi in cui questo studio è stato impegnato sul tema, sono stati in realtà oltre una decina, di cui poi solo alcuni (per stanchezza delle parti) sono giunti al vaglio della Corte di Cassazione.

Il punto di diritto a fondamento delle cause in oggetto atteneva alla qualificazione da attribuire, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, a terreni qualificati come edificabile ai sensi delle disposizioni di Piano Regolatore, ma rientranti parzialmente in fascia di rispetto autostradale.

Sulla esatta qualificazione attribuibile ai terreni espropriati siti in fascia di rispetto autostradale, specialmente ove i medesimi risultino oggetto di un esproprio parziale di bene unitario si poteva fin da principio riscontrare un oggettivo contrasto giurisprudenziale, infatti:

  • parte forse minoritaria della giurisprudenza della Corte di Cassazione considerava le fasce di rispetto stradali come un mero vincolo di distanza ex art. 26 Regolamento di Attuazione al Codice della Strada, tali da non determinare l’inedificabilità del suolo, ritenendo per tale motivo utilizzabile la volumetria sviluppata dal suolo ricadente all’interno della fascia di rispetto, seppure ovviamente al di fuori della fascia di rispetto medesima. Da ciò ne veniva fatto conseguire il diritto dell’espropriato a vedersi riconosciuto il pieno valore di mercato dei beni espropriati
  • parte probabilmente dominante della giurisprudenza della Corte di Cassazione considerava invece le fasce di rispetto come un vincolo assoluto di inedificabilità, tale da travolgere la stessa efficacia delle previsioni di prg. Da ciò veniva fatta conseguire la necessità di determinare l’indennizzo di esproprio del terreno secondo una valutazione agricola del medesimo.

Senza pretese di esaustività, in relazione all’orientamento sub a si poteva leggere:

Cass. Civile Ord., Sez. 2, Num. 25118 Anno 2018: “Il vincolo derivante da una fascia di rispetto autostradale ha l’effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere l’area inedificabile, posto che la ratio delle disposizioni che danno origine alla c.d. zona di rispetto viario sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale. Le zone di fascia di rispetto stradale vanno, quindi calcolate ai fini della volumetria edificabile, dal momento che esse sanciscono soltanto l’obbligo urbanistico di costruire ad una certa distanza dalla strada, e perciò di non realizzare alcun manufatto edilizio all’interno della predetta fascia di rispetto stradale.”. In tal senso e multis già Cass. 9889/2014

Cass. 7195/2013 “L’area soggetta a vincolo cimiteriale come fascia di rispetto e l’analoga fascia di distanza dalla strada in cui è vietato costruire, concorrono a determinare la misura della volumetria realizzabile in zona. Anche se tali fasce non sono classificabili come edificabili ai fini espropriativi, le stesse, quando siano espropriate, comportano comunque una perdita di superficie che, concorrendo a ridurre la volumetria realizzabile, in ogni caso dà luogo ad un pregiudizio da ristorare con la indennità. Il mancato computo di tale perdita nel determinare la indennità espropriativa è ingiustificato giuridicamente e logicamente, dovendo la stessa reintegrare anche detto danno…. Se in ragione della sentenza della C. Cost. 27 settembre 2007 n. 348, l’indennità di espropriazione è da liquidare di regola nel valore venale delle aree acquisite che costituisce l’unica perdita subita dal proprietario per l’intervenuta acquisizione da commisurare a detto valore, è errato limitare a questo l’indennità. Al pregiudizio subito dalla ricorrente proprietaria delle aree espropriate deve logicamente aggiungersi anche quello conseguente ai terreni rimasti alla stessa, che non è reintegrato solo dal detto valore “venale” determinato in base alla loro estensione e deve fissarsi in rapporto alla potenziale utilizzazione fabbricabile delle aree stesse (in tal senso, cfr. Cass. 7 novembre 2003 n. 16710), ma si estende anche alla perdita in loro danno della volumetria da edificare nelle aree rimaste in loro proprietà, in ragione delle più ridotte superfici loro rimaste. Coloro che per effetto dell’espropriazione hanno subito anche la riduzione delle volumetrie realizzabili nei terreni rimasti nel loro godimento, devono essere reintegrati anche di tale perdita dall’espropriante.” E così e multis: Cassazione civile  sez. I, 24 giugno 2011, n. 13970, Cassazione civile  sez. I, 18 settembre 2003, n. 13745, Cassazione civile  sez. I, 07 agosto 1997, n. 7303, Cassazione civile  sez. I, 23 luglio 1996, n. 6592

In relazione all’orientamento sub b poteva invece leggersi:

Cassazione civile, sez. I, 06/06/2018,  n. 14632: “In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà, avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili individuati “a priori” per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto a un’opera pubblica stradale o ferroviaria, non rilevando in senso contrario che il terreno sia collocato all’interno di un piano di insediamento industriale (P.I.P.) o di un piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.).” e multis: Cass. 13516/2015, 2552/2014; 875/2012; 18132/2006

A suffragio dell’interpretazione delle fasce di rispetto stradali come mero vincolo di distanza e non come vincolo di inedificabilità assoluta tale da travolgere la stessa efficacia della normativa di piano regolatore, pareva però di potersi però cogliere l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa.

Considerando infatti come il tenore letterale degli artt. 26 e 28 d.p.r. 495/1992 nella sua formulazione letterale non impongano affatto una inedificabilità legale dei terreni, ma esclusivamente un vincolo di distanza. (Art. 28: “Le distanze dal confine stradale all’interno dei centri abitati, da rispettare nelle nuove costruzioni…….” ma così anche art. 26.2: “Fuori dai centri abitati…..le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni…….), la giurisprudenza amministrativa, pur dando un’interpretazione ampia dello stesso, parrebbe chiarire la natura di vincolo di distanza imposto dagli artt. 26-28 d.p.r. 495/1992, sottolineando come tale vincolo sia apposto (ex multis Cons. di Stato 2076/2010):

  • Per garantire una fascia di sicurezza per la circolazione
  • Per garantire una fascia libera che faciliti interventi e riparazioni sulle strade
  • Per la realizzazione di opere accessorie

In tal senso poteva leggersi: “Ai fini del risarcimento del danno patito a seguito di occupazione illegittima di un fondo privato, il valore da attribuirsi all’immobile deve essere determinato al momento dell’adozione del provvedimento traslativo della proprietà e si dovrà tenere conto della potenzialità edificatoria del terreno, collegata alla sua inclusione nel PIP, senza tener conto della soggezione dello stesso alla fascia di rispetto autostradale, atteso che trattandosi di vincolo dettato per favorire la circolazione e offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze,o in queste abitano ed operano, esso non può essere qualificato come un vincolo strettamente espropriativo e in ragione di ciò non può influire sulla determinazione del valore delle aree ad esso assoggettate” (Tar Brescia 610/2013 e in senso analogo anche Cons. di Stato, 5095/2013)

Pur in presenza quindi di un orientamento dominante espresso dalla Corte di Cassazione sezione I, tale da considerare le fasce di rispetto come vincolo di inedificabilità assoluto, tuttavia sussistevano ragioni interpretative, testuali, sistematiche, nonché precedenti giurisprudenziali tali da consentire di ritenere ormai maturi i tempi per un mutamento dottrinale da parte della I sezione della Corte di Cassazione.

***

Con le sentenze 10747/2020; 13203/2020; 13598/2020. La Corte di Cassazione, I sezione, in effetti, ha mostrato di voler modificare il proprio orientamento, seppure non andando verso il riconoscimento del carattere edificabile del terreno sito in fascia di rispetto stradale, quanto piuttosto valorizzando lo spostamento della fascia di rispetto stradale connesso alla realizzazione dell’opera pubblica.

Nella prospettiva della conferma di una inedificabilità assoluta del terreno sito in fascia di rispetto stradale, tale da non consentire neppure uno sviluppo di volumetria realizzabile al di fuori della stessa, ecco allora che lo spostamento della fascia di rispetto determina una ulteriore perdita di valore in capo all’espropriato, rendendo ulteriormente inedificabile terreno prima dotato di capacità edificatoria.

In tale scelta, le sentenze recentemente emanate dalla Suprema Corte, vanno a recuperare un orientamento saltuariamente già espresso dalla Corte di Cassazione, come ad esempio può leggersi nella sentenza Cassazione civile  sez. I, 24 giugno 2011, n. 13970: “Ha infatti affermato questa Corte, con non recente pronunziato seguito da successive decisioni che ” nell’ipotesi di espropriazione parziale di un fondo per l’ampliamento di una strada pubblica, il preesistente vincolo di inedificabilità (relativo all’obbligo di osservanza delle distanze previste per le costruzioni rispetto al ciglio stradale) gravante sull’area espropriata o su parte di essa, si sposta dall’area su cui gravava originariamente a quella contigua, che diviene perciò, nella stessa misura, inedificabile, con la conseguenza che, in questo caso, l’esproprio colpisce un’area edificatoria, resa inedificabile nella parte in cui va a sostituire quella precedentemente destinata a zona di rispetto stradale” (massima di Cass. n. 7303 del 1997, seguita da Cass. n. 14643 del 2001 e da Cass. n. 6518 del 2007). La Corte territoriale, infatti, ha esattamente asserito che, espropriata l’area soggetta a fascia di rispetto, dovendo il relativo vincolo di inedificabilità assoluta spostarsi sulla fascia contigua, che era alla stregua del PRG “fabbricabile” (accertamento di fatto non oggetto di specifiche contestazioni), ne discendeva la soggezione di questa al predetto vincolo di inedificabilità assoluta e la esigenza di applicare per il calcolo dell’indennizzo, nel quadro imposto dall’art. 40 citato, il criterio ratione temporis invocabile, quello di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis

Prendendo ad esame tre le tre che medesima motivazione riportano la sentenza 13203/2020 può leggersi: “Le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte possono così sintetizzarsi: A) qualificazione giuridica della fascia di rispetto e correlata incidenza, in ipotesi di sua ablazione, sul criterio di determinazione dell’indennità di espropriazione e sull’individuazione della volumetria edificabile, ante assoggettamento alla procedura di espropriazione, dell’originario lotto unitario; B) rilevanza, in ordine all’individuazione della medesima volumetria edificabile, del solo “spostamento” della fascia di rispetto, nell’ipotesi in cui il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione parziale, si sia spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà dell’espropriato, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava.

6.1. In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio ritiene di condividere il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013). Detto vincolo non ha natura espropriativa, nè è preordinato all’espropriazione, in base a quanto previsto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1 e art. 37, comma 4 e l’indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n. 5875/2015).

6.2. In ordine alle tematiche, più controverse, che presuppongono la sussistenza, accertata nella specie dalla Corte territoriale, dell’esproprio parziale di bene unitario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, ritiene il Collegio che sia condivisibile l’orientamento secondo cui deve escludersi qualsiasi incidenza dell’area corrispondente alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è compresa (tra le altre Cass. n. 8121/2009 e Cass. n. 26899/2008).

Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell’interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero “vincolo di distanza” (sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza cfr. Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018).

La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima dell’assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.

Non è, pertanto, condivisibile l’indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell’individuazione della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la valutazione dello stesso ai fini urbanistici.

Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla prima, e ciò in quanto l’area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall’assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4.

6.3. A diversa conclusione si deve pervenire nell’ipotesi di spostamento della fascia di rispetto all’interno dell’area residua di proprietà, dovendosi rimarcare la sua dirimente distinzione dall’altra già considerata (ablazione della fascia di rispetto).

Infatti, in ipotesi di spostamento, la corrispondente porzione del bene è edificabile prima dell’imposizione sulla stessa del vincolo legale di inedificabilità conseguente dall’ablazione della fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo l’esproprio dell’originaria fascia di rispetto, così producendosi, per la “nuova” fascia di rispetto che resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.

In altri termini, come chiarito da questa Corte in precedenti pronunce (Cass. n. 5875/2012 e Cass. n. 23210/2012), il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione, può essersi spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà del privato, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava (Cass. n. 13970/2011; n. 6518/2007; n. 14643/2001). Ove si verifichi detta situazione, poichè deve aversi riguardo alla consistenza dell’area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l’inedificabilità successiva della stessa ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33.

Dunque, l’edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l’altra parte residua, rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in proprietà anche la “nuova” fascia di rispetto.

Negare rilevanza, nel senso indicato, alla descritta situazione si porrebbe in contrasto con i principi costantemente affermati da questa Corte in tema di espropriazioni per pubblica utilità, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 348/2007, n. 349/2007 e 181/2011) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo i quali non solo il sistema indennitario deve ritenersi improntato al riconoscimento del valore venale del bene ablato, ma l’indennizzo dovuto al proprietario, in base alla disciplina dettata dal citato art. 33, riguarda anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario stesso, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla proprietà residua, in modo da compensare il pregiudizio arrecato dall’ablazione ad essa (tra le tante Cass. n. 34745/2019).

Con riguardo a detti principi deve orientarsi l’interpretazione dell’art. 33 nella fattispecie in esame, la cui peculiarità risiede nel collegamento funzionale con una parte del fondo non espropriata, ma assoggettata, in diretta dipendenza dall’ablazione della fascia di rispetto, a vincolo assoluto di inedificabilità, e, quindi, alla perdita del diritto di costruire, pur nella permanenza del diritto di proprietà.

In tale ottica interpretativa, può darsi rilevanza, ai fini della configurabilità dell’esproprio parziale, a quel collegamento, a sua volta direttamente funzionale all’espropriazione della proprietà dell’area già in precedenza vincolata in quanto fascia di rispetto. Il fondamento normativo di suddetta ricostruzione si può rinvenire nell’art. 32, comma 1, citato D.P.R., che prescrive di tener conto, nella determinazione del valore del bene ai fini indennitari, anche dell’espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà, e a detta espropriazione è assimilabile l’ipotesi che si sta scrutinando, in cui il proprietario ha perso il diritto di costruire sulla porzione del fondo corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto.

In base a detta opzione ermeneutica, estensiva nei termini consentiti dalla specificità del caso, il privato potrà ottenere il deprezzamento dell’area residua non ablata commisurato alla reale perdita o diminuzione di capacità edificatoria di essa.

Detto risultato può essere, infatti, raggiunto, in termini di effettività, solo se la valutazione della capacità edificatoria, da effettuarsi mediante comparazione delle caratteristiche del bene unitario ante e post procedura espropriativa, comprenda, nella ricostruzione della situazione ante procedura ablatoria, l’area della “nuova” fascia di rispetto originariamente edificabile, determinandosi, diversamente opinando, ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni con caratteristiche iniziali identiche, quanto alla pregressa destinazione urbanistica dell’area che, all’esito dell’espropriazione, rimane in proprietà.

Resta da precisare, sempre in ragione della specificità del caso, che il criterio di stima differenziale, che comporta la sottrazione all’iniziale valore dell’intero immobile quello della parte rimasta in capo al privato, non è vincolante e può essere sostituito dal criterio che procede al calcolo del deprezzamento della sola parte residua, per poi aggiungerlo alla somma liquidata per la parte espropriata, purchè si raggiunga il medesimo risultato di compensare l’intero pregiudizio arrecato dall’ablazione alla proprietà residua (da ultimo Cass. n. 25385/2019 e n. 34745/2019).

Nella specie, poichè la perdita del diritto di costruire sull’area residua corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto non è indennizzabile, il giudice di merito potrà accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua rimasta in proprietà a seguito dell’avanzamento della fascia di rispetto mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (Cass. n. 24304/2011).

In altri termini, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua dovrà essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (Cass. n. 7195 del 2013).

Come già indicato la Corte, da un lato conferma l’inedificabilità delle fasce di rispetto, dall’altro tuttavia è costretta ad ammettere che, così considerando le fasce di rispetto, allora deve essere necessariamente indennizzato lo spostamento delle fasce di rispetto stesse in quanto, altrimenti, il proprietario espropriato sarebbe soggetto ad una sorta di doppio danno. Lo spostamento delle fasce di rispetto, infatti, si appalesa a questo punto come una sorta di esproprio di valore, dove ad essere espropriato non è il diritto di proprietà, ma lo ius edificandi già riconosciuto dalla legge urbanistica locale.

***

Al termine di questa vicenda processuale che ci ha tenuti impegnati per quasi un decennio, ci si permettano alcune osservazioni.

In via sostanziale questa è una vittoria per gli espropriati. Andando infatti a ridurre il ragionamento giuridico ad un mero computo economico, pagare il valore del terreno espropriato in fascia di rispetto come edificabile o considerare questo come agricolo, ma corrispondere la perdita di valore della fascia di edificabilità, nella stragrande maggioranza dei casi sono la stessa cosa.

Da un punto di vista strettamente giuridico tuttavia il ragionamento del Supremo Collegio pare lacunoso sottosvariati aspetti. In primo luogo, non va a sanare il contrasto giurisprudenziale esistente tra la I sezione della Corte di Cassazione (che tali sentenze ha espresso) e la sez. II e la sez. Tributaria della Corte di Cassazione, sezioni che pur non trattando di espropri talora si trovano a dover giudicare degli effetti della fascia di rispetto stradale e che sovente riconoscono ad essa valore di mero vincolo di distanza.

In secondo luogo, neppure viene riassunto il contrasto esistente con la giurisprudenza amministrativa, che ulteriormente pare considerare le fasce di rispetto come mero vincolo di distanza.

In tale prospettiva forse più utile sarebbe stato, come richiesto da questa difesa, rimettere la questione alle sezioni Unite.

In senso logico ed ermeneutico, poi, le sentenze appaiono una inutile forzatura. La modifica della qualificazione della fascia di rispetto, come visto, non avrebbe avuto conseguenze patrimoniali, per gli enti esproprianti, più pesanti rispetto a quelle ora imposte, ed avrebbe sicuramente semplificato la materia e limitato il contenzioso. Considerando che la supposta inedificabilità assoluta non è stabilita da alcuna norma di legge, ma è frutto di una mera elaborazione della stessa I sez. della Corte di Cassazione.

Peraltro se si vuole ritenere che la fascia di rispetto costituisca un vincolo conformativo avente natura assoluta, allora poco senso avrebbe riconoscere una svalutazione dei terreni per spostamento della medesima, in quanto come in altri precedenti affermato dalla stessa Corte, la perdita di valore non sarebbe il frutto di un intervento espropriativo, ma piuttosto di una norma di legge e, quindi, non avrebbe dato titolo ad un indennizzo.

Tuttavia, così portando agli estremi il ragionamento, la Suprema Corte ha dovuto necessariamente constatare come gli artt. 32 e 37 del dpr 327/2001 sarebbero stati da considerarsi incostituzionali per violazione del diritto di proprietà e palesemente contrastanti con le norme della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, come giustamente evidenziato da questa difesa.

Ecco allora che la Corte, messa così alle strette, ha preferito, rispetto ad una soluzione più piana, semplice e conforme alle norme di diritto, recuperare vecchi filoni interpretativi già pronunciati dalla Corte di Cassazione (e sempre rammentati da questa difesa come extrema ratio). Ma con tutti gli inconvenienti già sottolineati e che, certamente, saranno forieri di nuovi contenziosi.

Forse la mancanza di coraggio ad effettuare un ultimo balzo, o forse il timore di eccessivi oneri imposti all’ente espropriante (timore infondato come detto) ciò che è certo è che la soluzione trovata dal Supremo Collegio se da un lato nei fatti soddisfa i ricorrenti, giuridicamente appare piuttosto zoppicante.

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